"La sperimentazione animale. Aspetti giuridici e
sociologici"
di Stefania Menicali
-INTRODUZIONE-
Commento critico a cura di Mario Campli
Il testo originale del documento | Annotazioni e critiche |
Antica quanto la specie umana, la convivenza con gli animali ha attraversato nel tempo fasi diverse. Dal semplice rapporto di mutua predazione della preistoria, si è passati all'interazione vera e propria con l'addomesticamento e lo sfruttamento degli animali a fini alimentari e di reddito e, in tempi più recenti, con l'instaurarsi di rapporti affettivi e di compagnia. La situazione non è identica in tutti i paesi e dipende da fattori socioculturali che identificano le diverse comunità umane. Il pensiero occidentale non è mai stato particolarmente benevolo verso gli animali, visti quasi sempre come creature poste al servizio dell'uomo. Si può dire che fino a pochi anni fa la visione antropocentrica del mondo era quasi universalmente accettata, anche se, già nell'antichità, si sono fatte sentire voci di dissenso a questa impostazione, come quelle di Pitagora e Plutarco. A questa visione si oppose anche Kant, il quale, pur non riconoscendo agli animali diritti derivanti dalla loro condizione di esseri viventi e senzienti, riteneva che l'uomo dovesse rispettarli perché la crudeltà nei loro confronti predisponeva ad analogo comportamento verso i nostri simili. Solo alla fine del 1700 il filosofo utilitarista Jeremy Bentham, con la sua celebre asserzione riferita ai non umani: "Il problema non è 'possono ragionare?', né 'possono parlare?', ma: 'possono soffrire?'", pose le basi per il riconoscimento dei diritti animali. |
La tesi portata avanti nell'introduzione è
ambigua. Da una parte si condanna come
"antropocentrico" -connotando questo termine di
una valenza negativa- il rapporto tra uomo (tra
uomo occidentale) e la Natura e gli animali;
d'altra parte, però, non si scorge
minimamente come tale rapporto dovrebbe o
potrebbe essere configurato: si cita Pitagora, si
cita Plutarco, ma si dimentica che il rapporto
tra uomini ed animale rappresenta, in definitiva,
il risultato delle interazioni tra noi e
l'ambiente così come sono andate
sviluppandosi, biologicamente e storicamente,
nella evoluzione naturale e nella sopravvivenza
della nostra specie; riesce difficile immaginare
un modo differente, non utilitaristico, di
interpretare la Natura, che non sia una
"risorsa". L'uomo vive in un ecosistema,
sfruttandolo per i propri fini: ne fa parte lui
stesso, come ne fanno parte gli animali e i
vegetali. Questo non rende la Natura stessa un "oggetto" passivo, una cosa di cui disporre a proprio piacere, dal momento che è poi la Natura a plasmare, per mezzo della evoluzione, i vari attori della rappresentazione della vita, ciascuno intento a perseguire il suo scopo: la propria sopravvivenza individuale e quella di specie. L'uomo, risultato del naturale processo evolutivo che in quattro miliardi di anni ha condotto la vita dal brodo primordiale all'attuale civiltà, lungi dall'essere il "padrone" del mondo, ne è figlio, e tanto dipendente da non poter sopravvivere alla distruzione del suo ecosistema: e la Natura, più che serva dell'uomo, ne è la dominatrice, e giudice ultimo del nostro successo evolutivo e delle nostre capacità di adattamento e sopravvivenza, dal momento che il rischio dello sfruttamento scriteriato e irragionevole delle risorse naturali è l'estinzione. In questo senso è facile vedere che un atteggiamento di "protezione" nei confronti della Natura, o di "altruismo" nei confronti delle altre specie, non sono che forme velate di "antropocentrismo", un subdolo aspetto dell'egoismo di specie: chi si batte per l'ambiente non fa che lottare per preservare l'ecosistema che consente la sopravvivenza dell'uomo. |
Il carattere spiccatamente antropocentrico della
cultura occidentale si è accentuato
intorno al 1600, in coincidenza della nascita
della scienza moderna. Con Galileo si è
abbandonata la "cultura delle qualità" di
matrice aristotelica (1), a vantaggio di una
conoscenza di tipo quantitativo, per la quale il
mondo è conoscibile dall'uomo non in
virtù dei suoi sensi ma attraverso
l'applicazione di modelli matematici al mondo
fisico. L'uomo, in quanto essere razionale, deve
fare esperimenti utilizzando come laboratorio il
mondo stesso: in quest'ottica gli oggetti che
compongono il pianeta sono necessariamente molto
distanti dal soggetto conoscente. Tale visione
meccanicistica della vita si è allargata
anche alle scienze mediche, esplicitata
attraverso il ricorso alla metodologia
sperimentale come tecnica di comprensione e
studio delle malattie umane. |
Del tutto fuorviante l'analisi della "cultura
occidentale", assimilata tout court alla cultura
e al metodo scientifico. Vero è che con
Galileo si passa dallo studio qualitativo allo
studio quantitativo della natura,
perchè...
"La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto". È falso, però, che il mondo divenga conoscibile all'uomo «...non in virtù dei suoi sensi ma attraverso l'applicazione di modelli matematici al mondo fisico...». Si disconosce, in tal modo la lezione di Galileo stesso, che pretende il rigore matematico, ma altrettanto fortemente esige che la conoscenza sia figlia dell'esperienza:"Signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perchè i discorsi nostri hanno da essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta". Anche il coevo Francis Bacon riconosce il carattere empirico della scienza. Passare allo studio quantitativo della Natura significa sottoporre all'attenzione della scienza tutto ciò che è accessibile ai nostri sensi, e perciò misurabile: mentre resta escluso dall'indagine scientifica ciò che è intangibile e quindi non misurabile. Tale criterio vale ancora oggi, quando pur tuttavia possiamo avvalerci di appendici tecnologiche che espandono i nostri sensi e ci permettono di vedere -e misurare- l'invisibile. L'impiego di modelli matematici è la conseguenza, e non la causa, della osservazione oggettiva della natura; ha sempre dovuto misurarsi con l'errore, sistematicamente introdotto dalla imprecisione degli strumenti di misura, e poi, man mano che il livello di esplorazione della Natura si faceva sempre più profondo, ineludibilmente intrecciato con la indeterminazione del reale, che finisce per assumere un carattere non nettamente definito a livello quantistico. E' ormai da tempo che la scienza rigetta l'idea di un osservatore lontano dall'oggetto osservato, neutro ed ininfluente nei suoi confronti. |
Alla base della visione meccanicista o riduzionista della vita c'è il convincimento che per comprendere qualsiasi fenomeno è sufficiente scomporne le parti, studiarle singolarmente e, infine, relazionare i risultati ottenuti, ricorrendo a formule matematiche. Ciò ha implicato la costruzione di un modello sul quale condurre le ricerche: essendo eticamente improponibile utilizzare l'uomo, gli scienziati si sono "rifugiati" negli animali. |
Anche la pretesa di intendere il riduzionismo
così come viene definito dalla Menicali
è grottesca e assolutamente non
condivisibile da chi si occupa di scienza e
metodo scientifico. Una analisi concisa di questa
idea è ben descritta nel volume
"L'orologiaio cieco" del biologo Richard Dawkins,
ed è tanto significativa da meritare una
citazione integrale.
"Per coloro che amano i tipi di nomi in «ismo», il nome più adatto per designare il mio approccio al problema di capire come funzionano le cose è probabilmente «riduzionismo gerarchico». Chi è abituato a leggere riviste di cultura può aver notato che il «riduzionismo» è una di quelle cose, come il peccato, che vengono menzionate solo da coloro che le combattono. Designare se stesso come un riduzionista è un po', in certi ambienti, come ammettere di mangiare bambini. Ma come in realtà non c'è nessuno che mangi bambini, così nessuno è veramente un riduzionista in un qualsiasi senso contro cui valga la pena di prendere posizione. Il riduzionista inesistente -il tipo a cui tutti si oppongono, ma che esiste solo nella loro immaginazione- cerca di spiegare le cose complicate direttamente nei termini delle parti più piccole, e persino, in alcune versioni del mito, come la somma delle parti! Il riduzionista gerarchico, invece, spiega un'entità complessa, a un qualsiasi livello particolare nella gerarchia dell'organizzazione, nei termini di entità che si trovano solo un livello più in basso nella gerarchia; entità che sono probabilmente a loro volta abbastanza complesse da esigere un'ulteriore riduzione alle loro parti componenti; e via dicendo. Non occorre dire -anche se si ritiene che il riduzionista mitico, che mangia i bambini, lo neghi- che i tipi di spiegazione che sono adatti ai livelli superiori della gerarchia sono del tutto diversi dai tipi di spiegazione che sono adatti ai livelli inferiori. Ecco perchè le automobili si prestano a essere spiegate nei termini di carburatori ma non nei termini di quark. Ma il riduzionista gerarchico crede che i carburatori si spieghino a loro volta in unità ancora minori, le quali si spiegano in ultima analisi nei termini delle più piccole fra le particelle elementari. Il riduzionismo, in questo senso, è solo un altro nome per designare un onesto desiderio di capire come funzionino le cose" |
Sicuramente, il ricercatore più citato quando si tratta dell'uso degli animali nella ricerca è il francese Claude Bernard (1813-1878), fisiologo di laboratorio, che a metà del XIX secolo convinse la comunità scientifica che la ricerca medica era una scienza esatta come la matematica e che, respingendo l'idea che l'ambiente potesse avere la minima influenza sull'organismo, qualsiasi conquista in campo medico sarebbe stata imminente. Muovendo da tali premesse, asserì che una malattia non riproducibile negli animali non poteva esistere sull'uomo. In sintesi: colui il quale è, unanimemente, riconosciuto come il padre della moderna vivisezione imperniò le sue ricerche studiando gli animali con lo stesso metodo usato per la materia inerte. Successivamente, però, Bernard si ravvide, convincendosi che gli esseri viventi sono sensibilmente influenzati dal contesto spazio temporale in cui vivono e consegnandoci la conseguenza di questo mutamento di idea in un'opera postuma, Principes de Médicine Expérimentale, nella quale il grande scienziato profetizza la vivisezione sugli esseri umani. |
Appare superficiale l'analisi del ruolo e del
lavoro di Claude Bernard, l'illustre fisiologo
francese che con molti altri scienziati del suo
tempo (Pavlov, von Helmholtz, Ludwig, Magendie)
ha contribuito non poco alla evoluzione delle
conoscenze mediche. Bernard ha avuto la sfortuna
di teorizzare con fervore l'importanza del metodo
e della fisiologia sperimentale, con osservazioni
ancora oggi assolutamente condivisibili, ed
è sicuramente il più citato
scienziato da parte degli animalisti, ma non
è stato certo l'unico o il più
significativo degli sperimentatori; e se le sue
idee su "ambiente interno", omeostasi e metodo
sperimentale hanno conquistato la comunità
scientifica è stato per la loro forza e
capacità di convincere, perchè fare
scienza, allora come oggi, è una
attività sociale, un'impresa collettiva:
raggiungere il più vasto e razionale
consenso di opinione sugli argomenti
studiati. È significativa poi la scelta di certi termini, che dimostra in modo evidente che la posizione da cui l'Autrice muove è tutt'altro che neutrale, ma del tutto schierata: Claude Bernard ad un certo punto della sua vita si sarebbe "ravveduto", ad indicare come una "colpa" il suo precedente convincimento. |
Agli inizi degli anni settanta, sulla spinta del
celebre libro dell'utilitarista Peter Singer,
Animal Liberation, cominciò ad
organizzarsi un vero e proprio movimento per la
liberazione degli animali che, teso a contrastare
il concetto di "specismo" posto alla base dei
movimenti protezionistici del diciannovesimo
secolo, riconobbe i non umani portatori di
interessi (primo tra tutti quello a non
soffrire), da tenere in equa considerazione
rispetto agli analoghi umani. In altre parole e
in relazione all'oggetto di questa tesi, se
proprio si deve procedere ad esperimenti
scientifici ciò che deve guidare i
ricercatori nella scelta del modello sperimentale
(uomo o animale) non è l'appartenenza o
meno alla specie umana, quanto un valido motivo
che giustifichi il sacrificio del desiderio di
non soffrire. Attenzione: il movimento di
liberazione animale non afferma che tutte le vite
hanno eguale valore e che si deve dare ugual peso
ad ogni interesse, animale o umano; asserisce,
viceversa, che qualora uomini e animali abbiano
interessi simili (come il desiderio di evitare il
dolore fisico) devono essere considerati con
equità, senza procedere all'automatica
discriminazione dell'essere vivente non
umano. Anche nel nostro paese, nel XIX secolo e fino agli anni '60 di quello appena concluso, l'atteggiamento predominante della popolazione nei confronti dell'animale era di contrapposizione o al più di semplice tolleranza. Le relazioni tra l'uomo e gli animali erano essenzialmente determinate dall'utilità o dalla dannosità di questi ultimi, valutate sulla base di criteri costo-beneficio e condizionate a volte anche da credenze e pregiudizi. La legislazione in materia era conseguentemente elaborata considerando l'attitudine degli animali a fornire un servizio utile o la loro responsabilità nell'arrecare danni. Le cose cominciarono a cambiare, in seguito all'introduzione del concetto di "benessere animale" che portò, in un paio di decenni, alla nascita della scienza del benessere animale. Essa ha un significato non solo di ordine etico ma riveste, nella pratica, una funzione utilitaristica. In altre parole, il benessere degli animali si dimostra elemento essenziale non solo per ottenere condizioni ottimali di convivenza con gli stessi, ma anche per trarre il massimo vantaggio da tale convivenza, sia nel caso di animali da affezione che da reddito. L'insieme degli aspetti, positivi e negativi, della convivenza uomo-animale sono oggetto specifico delle attività della Sanità Pubblica Veterinaria definita, a Giulianova, in occasione della riunione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità tenuta nel 1999 come "il contributo al completo benessere fisico, mentale e sociale delle persone attraverso la conoscenza e l'applicazione della scienza medica veterinaria". Per dirla più semplicemente potremmo considerarla come l'insieme degli interventi che popolazione e Amministrazioni si aspettano dai servizi veterinari pubblici, per risolvere i problemi legati agli animali ed assicurarne il benessere, anche se con prevalente interesse alla salute umana. I compiti ufficiali di un veterinario che lavora in una Azienda Sanitaria Locale sono definiti da molte norme; fondamentale è il Regolamento di polizia veterinaria (D.P.R. 8 febbraio 1954 n. 320 e relativi aggiornamenti), a cui vanno aggiunte le numerose leggi sugli animali, dalla n. 281 del 1991 sulla gestione di animali d'affezione e sul controllo del randagismo canino (2) al Decreto Legislativo n. 116 del 1992 sulla protezione degli animali utilizzati nei laboratori per le sperimentazioni a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, che affida alle competenze del veterinario tutte le decisioni in materia di salute, mantenimento in vita o soppressione relativamente agli animali stabulati. |
|
Viceversa, esistono culture che, invece di porre l'accento sulla preminenza dell'uomo, da sempre considerano quest'ultimo come un individuo, una specie fra le specie, in una visione solidaristica. In questo senso, ad esempio, l'eredità della civiltà indiana che per lunghi millenni ha avversato ogni idea che ponesse l'uomo al centro delle cose giustificandolo come dominatore della natura. La posizione di fondo dell'Induismo è che l'uomo non può agire violentemente nei confronti degli esseri viventi, di qualunque specie essi siano, arrivando ad estremi per noi quasi fantascientifici. Ad esempio, gli aderenti alla setta dei genu tengono davanti alla bocca una pezzuola, una specie di garza, per evitare che anche i microbi che vagano nell'aria possano essere distrutti attraverso la respirazione, ingeriti nella bocca dell'uomo; oppure portano dei campanelli ai piedi per avvisare i piccoli esseri che camminano sul suolo che è in arrivo questo piedone che potrebbe schiacciarli. | La attenzione di certe sette induiste nei confronti degli animali sono diretta conseguenza della credenza che le anime dei mortali possano reincarnarsi in altre forme viventi; tuttavia l'induismo è una realtà assai multiforme, nella quale convivono sette come quella citata dei genu, a fianco di sette che non disdegnano il sacrificio degli animali (sacrificare non equivarrebbe ad uccidere...). Non mancano altri esempi di paesi orientali, teoricamente permeati di valori culturali pacifisti e rispettosi della natura (o almeno così interpretati dagli occidentali...), nei quali un passatempo diffuso è rappresentato dal combattimento dei galli. Insomma, certi comportamenti sono davvero «...estremi per noi quasi fantascientifici...»; più interessante sarebbe capire se tali comportamenti rappresentino un sostanziale vantaggio per gli animali, siano esportabili, ed applicabili a vasti strati di popolazione occidentale. I "vegani", vegetariani che hanno optato per tale scelta a causa di un rispetto estremo per gli animali (dunque "vegetariani" ed "animalisti") si alimentano solo con frutta, verdura e cereali, rifiutando prodotti come uova, miele, latte e derivati che presuppongono lo sfruttamento degli animali, ed in un tentativo di coerenza rifiutano scarpe e cinture di cuoio, e tentano di fare a meno dei farmaci -sviluppati con la sperimentazione sugli animali-. Ma questi tentativi naufragano in partenza, se si considera che semplicemente vivere nella società occidentale, inurbata e industrializzata, comporta comunque un impatto ambientale negativo per la Natura e i suoi abitanti. E' evidente, perciò, che una scelta di rispetto estremo per gli animali è utopia, e ogni volta che si stabilisce un limite oltre il quale certe cose non sono lecite, e al di la del quale sono permesse, tale confine è arbitrario, e sono altrettanto valide le motivazioni di coloro che lo vogliono più in qua o più in là. |
Al pari del generale rapporto uomo-animale, il
problema della vivisezione non è
separabile dal contesto in cui sorge. Tale
termine comprende varie tipologie di atti: da
quelli operatori su animali vivi, privi di
finalità terapeutiche ma tesi allo
sviluppo delle scienze biologiche, o a integrare
l'attività didattica o l'addestramento a
particolari tecniche chirurgiche, ovvero,
più raramente, a fornire responsi
diagnostici (cosiddetta "vivisezione in senso
stretto"); a quegli atti, non necessariamente
cruenti, che inducono lesioni o alterazioni
anatomiche e funzionali (ed eventualmente la
morte) negli animali di laboratorio, come
ustioni, inoculazione di sostanze chimiche,
esposizione a gas tossici o ad altre energie
(radiante, elettrica, di altra natura),
soffocamento, annegamento, traumi vari
(cosiddetta "vivisezione in senso lato"). La
sperimentazione sugli animali, globalmente
intesa, è stata affrontata nel secondo
capitolo di questo lavoro dove si è
cercato di offrire un quadro il più
possibile esaustivo della materia. Particolare
attenzione è stata dedicata agli aspetti
legislativi e tecnico-procedurali, cercando di
differenziarli in base ai campi di applicazione.
Per ognuno di questi (ricerca biomedica,
tossicologia, cosmetologia, chirurgia, didattica,
psicologia, etc.) sono stati passati in rassegna
i principali test che vedono coinvolti gli
animali, dedicando peculiare attenzione al
settore della ricerca biomedica e a quello
tossicologico. Non sono mancati cenni alle
metodologie alternative alla sperimentazione
sugli animali, delle quali si è descritto
l'iter e il procedimento di validazione. Un cenno particolare merita la visita allo "stabilimento utilizzatore unico di Ateneo" che, come descritto nel paragrafo 2.5.5, è stata possibile grazie alla collaborazione della dottoressa Maria Grazia Giovannini, ricercatrice presso il dipartimento di Farmacologia Preclinica e Clinica dell'Università degli Studi di Firenze, nonché direttore tecnico del "Centro per i servizi di stabulazione degli animali da laboratorio" (Ce.S.A.L.), costituito nel 2000, al fine, tra gli altri, di coordinare i ricercatori dei vari dipartimenti dell'ateneo fiorentino che accedono alla struttura. L'esperienza pratica avrebbe dovuto consentirmi di verificare la rispondenza della struttura alle prescrizioni poste dall'articolo 5 e relativo allegato 2 del Decreto Legislativo n. 116 del 1992, di recepimento della direttiva comunitaria 86/609/CEE, entrambi relativi alla protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali e ad altri fini scientifici. In realtà, come è facile intuire, le mie scarse conoscenze tecniche e la rapidità della visita allo stabulario mi hanno impedito qualsiasi verifica concreta, prendendo quindi per buono quanto riferito dal mio cicerone. Posso, però, affermare con certezza che l'impressione è stata molto positiva. La parte di stabilimento che ho potuto visitare si presenta come un ambiente silenzioso e ordinato. Gli animali trattati o operati sono ospitati in un'apposita ala dell'edificio, separati da quelli integri. In generale, sono allocati in gabbie metalliche, poste in varie stanze. Il numero delle gabbie collocate in ciascuna stanza varia a seconda delle dimensioni della specie ospitata; ad esempio, nel caso dei conigli, che sono gli animali di stazza maggiore tra quelli ospitati nello stabilimento, ogni stanza ne ospita circa venti: uno per gabbia. Nel terzo capitolo si è cercato di dar voce agli operatori del settore, distinguendoli in due grandi categorie: i vivisezionisti e gli abolizionisti (ripartiti, a loro volta, in "abolizionisti etici" e "abolizionisti scientifici"). I primi sostengono la necessarietà della sperimentazione animale, tacciando gli oppositori di sentimentalismo; laddove secondo gli abolizionisti, segnatamente scientifici, la sperimentazione animale, al pari della logica sottostante, rappresenta un errore metodologico e, quindi, un metodo non scientifico, basato sull'assurda presunzione di poter validamente estrapolare i risultati ottenuti con gli animali all'uomo, sulla base della somiglianza della nostra specie a quella dei topi o delle scimmie. In sintesi, il presente lavoro muove dall'idea di diffondere non tanto notizie o informazioni quanto di stimolare il lettore a sviluppare o raffinare un atteggiamento aperto, curioso e critico sull'utilizzo dell'animale nella ricerca. In altre sedi e con altri mezzi si potranno approfondire le conoscenze: l'importante è che alla base vi sia la capacità ma soprattutto la voglia di interrogarsi sui perché che muovono le scelte dei ricercatori. Vorrei, infine, precisare che il materiale di riferimento per il presente lavoro proviene, quasi esclusivamente, da interviste e opinioni comunque divulgate dagli specialisti del settore, coloro i quali offrono le proprie energie alla ricerca biomedica e biotecnologica. Fanno eccezione alcuni scritti utilizzati come fonte per la parte storico-descrittiva del fenomeno analizzato. Le ragioni di tale scelta si basano sul fatto che la voce della scienza è certamente più affidabile e intellettualmente più consapevole delle voci incontrollate e dogmatiche che, fuori di ogni rilevanza scientifica, pretendono di affermare "verità" basate esclusivamente sull'emotività irrazionale. |
Francamente spiace vedere utilizzato in un documento che pretende «...di stimolare il lettore a sviluppare o raffinare un atteggiamento aperto, curioso e critico sull'utilizzo dell'animale nella ricerca...» il termine "vivisezione", che, oltretutto, è estremamente limitativo e con connotazioni emotive assai forti, mirate a scuotere ed influenzare l'interlocutore. In un'epoca nella quale la sperimentazione scientifica sugli animali comprende ben altro che la "sezione di animali vivi", la quale, peraltro, può essere altrettanto ben eseguita senza alcun dolore e sofferenza mediante farmaci analgesici ed anestetici, la scelta di un termine così anacronistico appare fortemente viziata da un pregiudizio di fondo che mal si sposa con la pretesa imparzialità e il rifiuto della emotività irrazionale millantato dall'autrice. |
Note 1. Per Aristotele e le filosofie che alle sue tesi si richiamano, la conoscenza del mondo è la conoscenza che l'uomo accumula attraverso i sensi. 2. Questa legge è stata il pretesto per la costituzione obbligatoria dell'anagrafe canina, la creazione di canili e gattili sanitari, l'istituzione di Uffici per i Diritti degli Animali, l'ufficializzazione della figura del "gattaro". Tra le disposizioni della legge n. 281 del ferragosto del 1991 particolarmente interessante ai fini di questo lavoro è la proibizione di utilizzare per la sperimentazione i cani accalappiati. Infatti, prima di questa legge, i cani trovati "vaganti" venivano accalappiati, portati al canile e, dopo tre giorni, se il padrone non passava a prenderli, uccisi o ceduti ai laboratori di vivisezione (una descrizione di ciò si trova in C. Malaparte, La pelle, Aria d'Italia, Roma-Milano 1949, pp. 203-210: l'autore perde il cane e, dopo un'affannosa ricerca, lo ritrova, insieme a molti altri, in un laboratorio, vivisezionato e con le corde vocali recise). I gatti, meno richiesti dai laboratori di vivisezione, venivano, solitamente giustiziati in massa. |
La nota 2 alla Introduzione riporta una informazione assai distorta quando afferma che la Legge 281/1991 avrebbe posto fine al fenomeno della "vivisezione" degli animali accalappiati e non reclamati da alcuno. Non per nulla la descrizione esemplificativa di questa pratica viene fatta risalire ad un romanzo di Malaparte del 1949. In realtà, pur non potendo escludere in assoluto l'episodica evenienza di simili fatti, si fa presente che nel 1991, anno di promulgazione della Legge, già da anni i laboratori che effettuavano ricerca su animali avevano stringenti necessità in fatto di condizioni igieniche, stato di salute e nutrizionale, persino assetto genetico degli animali da esperimento, nella stragrande maggioranza dei casi costituiti da roditori. Sarebbe stato impensabile condurre sistematicamente ricerche su animali di provenienza ignota, con caratteristiche fisiche e genetiche indeterminate, in condizioni di salute e nutrizionali sconosciute o scadenti. Solo una becera propaganda antivivisezionista potrebbe avallare una simile informazione. |
Stefania Menicali |
Mario Campli |
La sperimentazione animale. Aspetti giuridici e
sociologici
di Stefania Menicali
Qui sotto i collegamenti che puntano alla versione commentata delle varie parti del documento