Sperimentazione sugli animali:
le ragioni etiche
di Mario Campli
Da quando l'uomo ha fatto la sua comparsa sulla faccia della terra, l'umanità ha sempre fatto un uso strumentale dell'ambiente. È un fatto che rientra nell'ordine naturale delle cose, e che ci accomuna a qualsiasi altra specie vivente: ogni essere vivente ne "sfrutta" altri per sopravvivere, dal lupo che sbrana l'agnello per cibare i suoi piccoli alla salvia che approfitta degli insetti per assicurarsi l'impollinazione. Il semplice fatto di essere vivi significa sempre esserlo a spese di qualcun altro, dal momento che la vita si nutre di altra vita, e non solo in senso letterale.
Se fosse mai possibile definire lo "scopo" degli esseri viventi, questo non sarebbe altro che il classico "crescete e moltiplicatevi" di biblica memoria, che può essere tradotto nella osservazione che ciascun essere vivente lotta per assicurarsi la sua sopravvivenza personale e la sopravvivenza della specie: esiste perciò un egoismo personale e un egoismo della specie, che guidano il comportamento di tutti gli esseri viventi e determinano la scala di priorità in base alla quale gli esseri viventi agiscono. Da un punto di vista biologico ciascun individuo privilegia fondamentalmente la sua esistenza personale (vivere) e quella della specie (riprodursi). Ciascun essere vivente ha saputo avvantaggiarsi dei mezzi messi a sua disposizione dalla Natura: la tigre usa le zanne e gli artigli, il cammello usa le gobbe e l'apparato renale, i fiori usano colori sgargianti e forme appariscenti, l'uomo usa la sua intelligenza, una caratteristica, questa, evolutasi naturalmente come qualsiasi altro strumento di sopravvivenza ed adattamento all'ambiente, inteso non solo come il "paesaggio", ma comprendente anche tutte le specie viventi animali e vegetali che lo popolano. L'ambiente muta continuamente, e la variabilità genetica offre agli individui che formano una specie un ventaglio di caratteristiche che si adattano più o meno bene ai mutamenti ambientali, i più adatti riescono a sopravvivere e riprodursi, i meno adatti soccombono. Come gli individui, anche le specie competono tra loro per le risorse ambientali, in un delicato equilibrio circolare per cui il leone mangia la gazzella, ma poi muore, e diventa concime per l'erba che sarà il nutrimento della gazzella. Non esiste una argomentazione che non faccia riferimento a questa legge per giustificare l'esistenza in vita di qualsiasi pianta o animale, uomo compreso. In natura nessun predatore "rispetta" le specie che preda; la forza bruta, o l'astuzia e l'inganno sono mezzi leciti per assicurare il successo biologico di una specie, e non c'è modo di temperare questa realtà con la mediazione della cultura o dei sentimenti. Tutti noi, per il fatto di essere vivi, siamo predatori di qualcuno e prede di altri: siamo tutti parte indistintamente della Natura, e del grande ciclo della vita e della morte, senza contrapposizioni tra l'Uomo da una parte e la Natura dall'altra. Grazie all'intelligenza, selezionata dall'evoluzione naturale come strumento per un migliore adattamento all'ambiente e per la sopravvivenza degli uomini, ci siamo affermati in un processo naturale come specie dominante su scala planetaria, ci siamo scrollati di dosso molti nemici, e abbiamo portato la nostra lotta per la sopravvivenza ad un livello molto più elevato del semplice "uccidere per sfamarsi": le nostre risorse di vita restano sempre, però, gli animali, le piante, e il nostro ecosistema.
Per alcuni una simile visione del mondo, che sarebbe peculiare della civiltà occidentale, va condannata come "antropocentrica" (connotando questo termine di una valenza negativa). Non si vede però in quale altro modo tale rapporto dovrebbe o potrebbe essere configurato. Dal momento che esso rappresenta, in definitiva, il risultato delle interazioni tra l'uomo e l'ambiente così come sono andate sviluppandosi, biologicamente e storicamente, nella evoluzione naturale e nella sopravvivenza della nostra specie, riesce difficile immaginare un modo differente, non utilitaristico, di interpretare la Natura, che non sia una "risorsa".
Questo non rende la Natura stessa un "oggetto" passivo, una cosa di cui disporre a proprio piacere, dal momento che, prima ancora di essere sfruttata, è stata la Natura stessa a plasmare, per mezzo della evoluzione, i vari attori della rappresentazione della vita, ciascuno intento a perseguire il suo scopo: la propria sopravvivenza individuale e quella di specie. L'uomo, risultato del naturale processo evolutivo che in quattro miliardi di anni ha condotto la vita dal brodo primordiale all'attuale civiltà, lungi dall'essere il "padrone" del mondo, ne è figlio, e tanto dipendente da non poter sopravvivere alla distruzione del suo ecosistema. La nostra specie ed i suoi interventi sull'ambiente non sono "altro" rispetto alla Natura: noi siamo quello che siamo per un processo evolutivo che ha caratterizzato la nostra specie all'interno della Natura. La divisione e la contrapposizione tra ciò che è "naturale" e ciò che è "artificiale", frutto dell'intervento umano, è falsa e pretestuosa: i nostri manufatti, le nostre conoscenze, il nostro sviluppo, la nostra civiltà, sono il frutto della nostra intelligenza, e la nostra intelligenza (l'unica nostra arma, dal punto di vista evoluzionistico, ma la più potente, visto che ha consentito l'affermazione della nostra specie a livello planetario) è il risultato della evoluzione naturale dell'Homo sapiens sapiens. È la Natura stessa che ci ha plasmati per quello che siamo, e tutto quello che succederà nel prossimo futuro sarà il risultato di un processo naturale: sconvolgeremo il pianeta con l'inquinamento? distruggeremo la nostra civiltà con una guerra nucleare? periremo per il tracollo dell'ecosistema globale, che non sarà in grado di sostenere la nostra specie (e molte altre)? Pazienza! Scompariremo dalla faccia della terra, e con noi molti altri "innocenti", come è successo da sempre nei miliardi di anni che la vita esiste sulla terra. Anche in questo la Natura è tutt'altro che la nostra serva: è piuttosto la nostra dominatrice, e giudice ultimo del nostro successo evolutivo e delle nostre capacità di adattamento e sopravvivenza. L'ecosistema terrestre è radicalmente cambiato innumerevoli volte in questo intervallo di tempo, e anche senza l'intervento dell'uomo cambierà ancora, altrettanto radicalmente, nel futuro: i cosiddetti ecologisti che vorrebbero "conservare" l'ambiente così com'è, e si battono per la conservazione di tutte le specie sono forse la forma più subdola di "egoismo di specie": questi atteggiamenti di "protezione" nei confronti della Natura, o di "altruismo" nei confronti delle altre specie, non sono che forme velate di "antropocentrismo", volte a mantenere integro l'ecosistema nel quale la nostra specie ha prosperato negli ultimi 50.000 anni; invece in Natura gli ecosistemi evolvono, e a volte si distruggono, e le specie si estinguono, innumerevoli, e altre ne compaiono. La storia della nostra specie sulla superficie del pianeta è poco più di un battito di ciglia rispetto alla storia della Terra, e ancor meno rispetto al futuro che verrà. Se non saremo abbastanza "intelligenti" da capire come comportarci per continuare ad esistere, il pianeta darà uno scrollone, e si libererà di noi e dei nostri incolpevoli compagni di viaggio; ma nuove specie, nuove forme di vita prenderanno il nostro posto, e sapranno sostituire quelli che oggi spesso si definiscono orgogliosamente "il culmine dell'evoluzione sulla terra". La Natura è paziente, e dalla sua ha tutto il tempo che vuole. Riuscite a immaginare un po' cosa significa un miliardo di anni? Provare a contare: uno, due, tre, quattro... immaginate di riuscire a pronunciare un numero al secondo. Dopo un minuto siete arrivati a sessanta. Dopo un giorno a poco più di ottantaseimila; ci vogliono più di undici giorni per contare fino a un milione. Sapete quanto tempo dovete contare per arrivare a un miliardo? Trentadue anni. A giudicare dal tipo di stella intorno al quale orbita, la terra ha ancora una vita utile di un paio di miliardi di anni, quindi è ragionevole credere che se la nostra specie e la nostra civiltà, orgogliosamente insediata sul pianeta negli ultimi 2000 anni (trentatre minuti, contando da uno a 2000...) saranno spazzate via, ci sarà tutto il tempo per rimpiazzarle con qualcosa di diverso. La nostra sola speranza di vincere questa sfida è migliorare le nostre conoscenze, e farne buon uso.
Battersi contro lo sfruttamento indiscriminato e selvaggio dell'ambiente è cosa differente dal mettere in dubbio la liceità dello sfruttamento degli animali, delle piante e delle altre risorse naturali per i nostri interessi poichè da questo punto di vista etico "usare" per i nostri scopi la natura è giustificato tanto per noi quanto per le altre specie. Essendo però l'uomo "ragionevole" rispetto alle altre specie, sarebbe necessario ricordare che la natura non ci "appartiene" perchè noi ne facciamo ciò che preferiamo: siamo noi uomini che apparteniamo alla natura, ed abbiamo la responsabilità di condividere il mondo con tutte i suoi abitanti. Indubbiamente l'impronta che la nostra specie lascia sull'ecosistema è molto pesante: ma la conoscenza, che con il rapido sviluppo tecnologico ha determinato la crescita esponenziale della nostra specie e delle sue necessità, potrebbe essere proprio la chiave per imparare ad interagire con il nostro ambiente e con gli animali in modo meno distruttivo e più lieve: e questa è una necessità per tutti, non fosse altro che per preservare l'ambiente nel quale possiamo vivere e prosperare.
Se dunque si condivide il punto di vista che sia lecito sfruttare con intelligenza e senso di responsabilità piante, animali e le altre risorse naturali per mangiare, per vestirsi, per difendersi, etc. etc., è altrettanto lecito sfruttare piante e animali per aumentare la conoscenza scientifica, e per riuscire trovare mezzi migliori per curare i nostri simili e gli stessi animali e piante. La Natura ha dato all'uomo l'intelligenza, la curiosità di conoscere, la capacità di sfruttare questa conoscenza per il suo vantaggio; la sperimentazione animale non è che un aspetto della ricerca scientifica, che a sua volta non è altro che la strategia vincente che l'evoluzione ci ha messo a disposizione per l'affermazione della nostra specie. L'impiego degli animali nella ricerca scientifica non è altro, perciò, che uno dei mezzi che la nostra specie ha a disposizione per assicurare la sopravvivenza degli individui. È un fatto evidente a chiunque che grazie al progresso delle conoscenze mediche si è verificato nel corso degli ultimi 150 anni un sostanziale miglioramento della qualità e della quantità della vita umana: la ricerca biomedica, perciò, è un mezzo diretto di sopravvivenza, né più né meno che l'uccisione della gazzella da parte del leone africano.
Durante la nostra esistenza, noi tutti agiamo in base a delle scale di valori, ed è pacifico che per chiunque le priorità più importanti sono quelle relative a noi stessi, come individui e come specie. Questo non significa che gli animali non abbiano diritto ad una loro dignità, e non meritino il rispetto dell'uomo; anzi, la nostra consapevolezza e la nostra intelligenza rendono moralmente importante la difesa di chi non può difendersi. Ma la medicina pone al primo posto nella sua scala di priorità la lotta alla sofferenza dell'uomo, e solo dopo la lotta alla sofferenza degli animali. Gli animalisti affermano che giustificare la sofferenza animale per combattere la sofferenza umana è sbagliato: chi si batte contro l'impiego degli animali nella ricerca biomedica mette perciò le sofferenze degli uomini e quelle degli animali sullo stesso piano, e valuta uomini e animali degni del medesimo rispetto e della medesima attenzione. Per chi invece è votato "istituzionalmente" alla difesa dei deboli e dei sofferenti, degli uomini ammalati, il dolore degli uomini non è "più importante" di quello degli animali, ma viene prima. Grazie alla sua intelligenza l'uomo si è sottratto ai meccanismi di selezione biologica, ed ha elevato al rango di valori la solidarietà, la pietà, la compassione. Valori che gli animalisti vorrebbero estesi alle altre specie prima che ai propri simili. Paradossalmente è stato proprio il progresso della conoscenza e del livello di vita che ci ha permesso di astrarci dai problemi quotidiani, da una dura lotta per la sopravvivenza, per riflettere sui valori più alti e prefiggerci di raggiungerli, e ci porta ad interrogarci sulla liceità dei nostri comportamenti. In una società arretrata, dove la gente muore di fame, e la vita umana ha pochissimo valore, i comportamenti della maggioranza delle persone non sono certo ispirati ad alti valori morali, e le preoccupazioni per il mondo animale sono davvero molto lontane dai pensieri per i problemi della vita di ogni giorno. Comunque, anche nella comoda esistenza che conduciamo, si devono porre delle priorità: "mangiare", ad esempio, è prioritario rispetto a "scrivere poesie", perchè se non si mangia difficilmente si può fare della letteratura: ovviamente un simile giudizio non implica che l'attività del mangiare sia "superiore" a quella di "scrivere poesie", anzi, dal punto di vista puramente intellettuale è molto più apprezzabile il poeta rispetto al gaudente crapulone. Ma resta il fatto che le scale di priorità esistono, e tutti ne facciamo uso ogni volta che operiamo una scelta.
A volte le priorità costringono a scelte dolorose. Quando in una zona disastrata (terremoto, alluvione) si prestano i primi soccorsi ad un gruppo di infortunati, in assenza di aiuti e assistenza sufficienti, bisogna operare delle scelte: nessuna persona è "meno importante" delle altre, ma se l'assistenza è limitata e non permette di prestare aiuto a tutti, bisogna giocoforza ignorare i bisogni di alcuni per dedicarsi agli altri (si chiama "triage" la selezione dei malati, ed è una pratica comune anche nel Pronto Soccorso, dove i pazienti vengono classificati in base all'urgenza e la gravità della patologia per stabilire le priorità di intervento). Nei disastri, se i soccorritori sono insufficienti, il "triage" ha un terribile scopo: serve a riconoscere i pazienti ormai "perduti", ancora vivi ma in condizioni tali da rendere inutili e vani gli sforzi di un soccorso; se non si facesse così, i soccorritori disperderebbero le loro forze, fornendo un'assistenza insufficiente a tutti, con il rischio di non essere di giovamento ad alcuno: per questo si valutano le condizioni dei pazienti, e quelli più gravi, che sono in condizioni più critiche, senza molte speranze, vengono abbandonati a loro stessi, per concentrare gli sforzi sulle vittime che possono giovarsi di un aiuto limitato, senza "attrezzature" e altri presidi tecnologici; le condizioni dei malati meno gravi, infatti finirebbero per aggravarsi in modo irrimediabile se tutte le energie dei soccorritori fossero volte esclusivamente alla assistenza dei pazienti più gravi, il cui destino è comunque segnato. Nessuno è lieto di abbandonare a loro stessi dei malati che potrebbero magari essere salvati, disponendo di uomini e mezzi sufficienti. Eppure questa scelta dolorosa è necessaria, altrimenti il bilancio delle vittime sarebbe certamente peggiore.
Quando si fa della ricerca biomedica, e ci si trova a fronteggiare lo sfruttamento o la sofferenza degli animali impiegati negli esperimenti, bisogna sempre ricordare che a fronte di quello sfruttamento c'è tutto il dolore di uomini malati che quella ricerca permetterà di risparmiare. Chi è favorevole all'impiego degli animali nella ricerca ha una scala di priorità, e valuta che gli uomini vengano prima degli animali, anche se questo non vuol dire che consideri gli animali immeritevoli di dignità, cure e attenzioni. I valori etici fanno riferimento da un punto di vista utilitaristico ad un bene superiore: per cui è eticamente corretto il sacrificio di un singolo per il vantaggio dei molti. Ove, naturalmente, il vantaggio dei molti sia significativamente superiore al sacrificio del singolo. Gli scienziati valutano che i benefici apportati dalla ricerca animale siano di gran lunga superiori al sacrificio degli animali. Ma visto che l'uomo, creatura intelligente e consapevole, è comunque sensibile alla sofferenza animale, è lecito che si ponga dubbi morali sulla sperimentazione animale, ed è comprensibile che si adoperi per diminuire per quanto possibile il carico di "sofferenza" che scarica sul mondo globalmente inteso (animali sottoposti a vivisezione compresi). Esattamente come è comprensibile che ci si renda conto dei pericoli che corre l'ambiente e si tenti di sensibilizzare le singole "intelligenze" a comportamenti che privilegino l'egoismo della specie al posto dell'egoismo individuale, in modo da conservare un ecosistema nel quale l'uomo possa vivere e dal quale possa trarre sostentamento. Queste non sono però ragioni per mettere la sperimentazione animale al di là del lecito. È sicuramente ingiusto infliggere sofferenza gratuita alle altre specie, quindi la sperimentazione animale è praticabile solo se ci si aspetta di ottenere dei risultati utili, e non per scopi futili, ed è necessario adoperarsi al massimo per ridurre o al limite abolire le sofferenze inutili. Chi scrive è una persona sinceramente amante degli animali, ma altrettanto convinta della necessità della sperimentazione animale.
Scienziati e ricercatori fanno ricerca biomedica non solo per scopi pratici quali il collaudo di nuovi apparati o tecniche chirurgiche o test di farmaci, ma anche solo per accrescere le nostre conoscenze in campo biologico. La ricerca di base è un settore importante e fondamentale, perchè è da esso che scaturiscono intuizioni e ipotesi per applicazioni pratiche che poi sarà possibile realizzare; senza la ricerca di base non esisterebbe la ricerca applicata, e quindi tutte le applicazioni pratiche della conoscenza. A chi si occupa di Scienza appare ovvio che la conoscenza di per sè sia un valore per la nostra specie; appare altrettanto ovvio che la conoscenza è per di più assolutamente neutrale. Sapere qualcosa non è un bene o un male, dal punto di vista morale: ciò che può essere bene o male, dal punto di vista morale, è l'uso che si fa della conoscenza. Studiare la fisica quantistica non è bene o male, bene o male può essere costruire una bomba atomica o cercare di realizzare un reattore a fusione per ottenere energia "pulita". E pensare di poter piegare la conoscenza ai propri biechi fini è una sciocchezza: l'idea di riuscire a costruire un laser terrestre per colpire missili nucleari in arrivo, che gli americani hanno accarezzato per il loro progetto "Scudo Stellare", nonostante i miliardi di dollari investiti, nonostante la profusione di mezzi, menti e tecnologie, non è stata realizzata. Perchè le leggi della fisica sono quelle che sono, e conoscerle non permette di aggirarle, per cui il comportamento di un raggio laser nell'atmosfera terrestre rende una simile arma scarsamente utilizzabile. La sete di conoscenza è una caratteristica tipica dell'Uomo, e la Scienza è la più elevata ed elaborata forma di curiosità intellettuale della nostra specie, oltre che il principale motore della evoluzione materiale della nostra civiltà. Quello che differenzia l'efficacia delle cure di uno sciamano e quelle di un medico è esattamente la conoscenza di cui quest'ultimo dispone. C'è bisogno di spiegare perchè maggiore conoscenza si traduce in migliori cure? C'è bisogno che di spiegare che per poter curare con diligenza, prudenza e perizia i suoi malati, un medico impiega un considerevole numero di anni per accumulare le conoscenze necessarie, e continua a studiare ogni giorno della sua vita per tenersi aggiornato e offrire ai suoi pazienti le cure migliori e più aggiornate? Nel campo della ricerca biomedica, sia quella di base che quella applicata, la sperimentazione animale è indispensabile perchè lo studio sui sistemi isolati (culture cellulari, tessuti in vitro, organi perfusi) non è sufficiente, dal momento che l'aumento dell'organizzazione delle strutture viventi comporta un aumento di informazione legata alla struttura che non è deducibile dalla somma dei singoli componenti della struttura. Quindi, prima di passare alla sperimentazione sull'uomo, che resta comunque il passo fondamentale prima della applicazione su larga scala, è necessario -per limitare i rischi- sperimentare su altri sistemi, compresi interi organismi animali.
Alcuni animalisti, in un tentativo di coerenza, si battono non solo contro lo sfruttamento degli animali nella ricerca scientifica, ma contro lo sfruttamento in genere degli animali. Sono quindi vegetariani, anzi, vegani (non consumano nemmeno uova, latte e derivati), e rinunciano all'impiego di prodotti realizzati con materie prime di origine animale (scarpe e cinture di cuoio, ad esempio...). C'è da dire che semplicemente "vivere" in occidente, nella nostra opulenta "società del benessere", con il nostro tenore di vita, significa sfruttare in molti modi, più o meno diretti, gli animali e, più in generale, la natura: semplici gesti come salire su un autobus, accendere una lampadina, utilizzare un computer, implicano un sistema di industrie, trasporti, consumi energetici realizzabili solo sfruttando intensivamente l'ambiente naturale, e causando quindi sofferenze, morte ed estinzione per gli animali che abitano l'ecosistema. Non sono accettabili, perciò, lezioni di etica da chi lancia proclami di "animalismo" da una parte e dall'altra continua tranquillamente a vivere secondo modalità e criteri che comunque, in un modo o nell'altro, anche se non in maniera così diretta e visibile come la vivisezione a scopo sperimentale o la macellazione a scopo alimentare, comportano sofferenza e morte degli animali. Sarebbe necessaria, a voler essere veramente coerenti, una attenzione maniacale, il rispetto profondo di un illuminato buddista che camminando bada a non schiacciare con il proprio piede nemmeno una innocente formica: ma è facile dimostrare la impossibilità -ed anche il rischio, parlando di alimentazione vegana- di realizzare una generalizzazione di simili comportamenti all'intera popolazione. E non sarebbe comunque ipocrita rispettare il mondo animale, e cibarsi allegramente del mondo vegetale? Per chi studia materie biologiche, c'è una sola realtà, ed è la "vita", che è sempre se stessa, unitaria anche se in molteplici manifestazioni. E le differenze, evidenti e lapalissiane sulla scala delle nostre comuni osservazioni, per cui ci sembra facile distinguere un albero da un cavallo, su scala microscopica, a livello cellulare, diventano vaghe e indistinte, al punto che certi microorganismi non possono essere classificati come "piante" o come "animali" in modo così netto e preciso. Ma se anche una distinzione si potesse fare, perchè discriminare le manifestazioni più semplici della vita? La sensazione che noi definiamo "dolore" è fondamentalmente un campanello d'allarme che mette in guardia l'essere vivente da qualsiasi evento che possa recargli danno. Noi, forniti di un sistema nervoso più evoluto e sviluppato, la percepiamo come una intensa, sgradevole emozione, ma non c'è da dubitare che qualunque forma di vita percepisca in qualche modo il dolore, inteso come una risposta aspecifica a qualunque danno per l'organismo vivente.
Il vero rispetto per la vita è la consapevolezza della straordinaria unità che si nasconde dietro la molteplicità delle forme viventi, la comprensione del fatto che queste forme di vita esistono per crescere e moltiplicarsi, in una lotta senza fine nella quale la nostra eredità genetica ci spinge a difendere, nell'ordine, noi stessi, la nostra famiglia, la nostra specie. Non bisogna nascondersi che la Natura è totalmente indifferente alle vicende dei viventi. Dal momento che noi uomini abbiamo il dono della ragione, possiamo ragionevolmente batterci per abolire la sofferenza inutile, quella di qualsiasi specie vivente, non solo quella di povere scimmiettine, languidi cagnoloni, morbidi coniglietti (mai nessuno che si impietosisca di rane, rospi, o insetti...). La scelta per la sperimentazione animale va fatta in modo razionale, senza lasciarsi travolgere dall'emotività, perchè significa fare quello che qualsiasi specie ha fatto da quando esiste sulla terra, sfruttare l'ambiente per la propria sopravvivenza. I sentimenti esistono e non vanno ignorati, ma bisogna sempre ricordare che i sentimenti per l'umanità vengono prima dei sentimenti per l'animalità. Ci si batta, piuttosto, per sfruttare l'ambiente in modo intelligente. Purtroppo per gli animalisti il progresso della conoscenza in campo biologico si ottiene anche con la sperimentazione animale, e almeno per quanto riguarda chi scrive il valore della sofferenza umana è maggiore di quello della sofferenza animale. Senza tirare in ballo presunti concetti di superiorità della specie o velleità naziste, è solo un concetto di priorità: i medici ritengono giusto sforzarsi per combattere la sofferenza degli uomini prima di quella degli animali (contro la quale, comunque, sono disposti ad impegnarsi). Questo non implica nessun concetto di Uomo "superiore" agli animali, come la zebra non è "inferiore" al leone, come l'uomo non è "inferiore" al virus dell'AIDS.
In mancanza di altre argomentazioni,talvolta gli animalisti citano pareri di personaggi più o meno illustri che in un passato più o meno remoto si sono pronunciati contro la vivisezione. Si tratta in genere di opinioni non giustificate da altro che i buoni sentimenti, fatto questo comprensibilissimo, come già ripetuto, ma poco rilevante se tale parere è espresso da personalità che nulla hanno a che fare con la ricerca biomedica, o perlomeno con la ricerca biomedica così come è praticata al giorno d'oggi, e dunque ignorano le problematiche connesse a questa pratica. In realtà, a differenza di quanto vantato dagli animalisti, che amano affermare che un numero sempre maggiore dei ricercatori in campo biomedico rifiuta la sperimentazione animale come valido metodo di indagine scientifica, la comunità scientifica, pur impegnandosi per una progressiva riduzione nell'impiego degli animali, non ha mai accettato la pretesa degli animalisti di rinunciare completamente alla ricerca sugli animali, e per questo si è vista sottoposta ad attacchi che, da parte degli animalisti più impegnati, hanno assunto toni davvero grotteschi; dal momento che prese di posizione assolutiste come quelle della maggior parte dei cosiddetti animalisti vengono accettate dagli adepti di questi movimenti come atti di fede, non discutibili su basi razionali, non c'è dialogo tra le due parti, e la comunità scientifica viene attaccata in toto con accuse di crudeltà e sadismo estese automaticamente a chiunque esprima il dubbio che forse non c'è modo di rimpiazzare l'impiego degli animali in tutte le applicazioni oggi utilizzate. Questo è un peccato, perchè scienziati e animalisti potrebbero collaborare nella ricerca di alternative, e per applicare severi controlli nei laboratori di ricerca. Così non è, per l'atteggiamento del "muro contro muro" cui costringe il fanatismo degli animalisti: e chi soffre di più per questi comportamenti sono proprio gli animali dei laboratori.
Ricordiamo, comunque, che la sperimentazione animale è ampiamente regolamentata, e a prescindere dalle norme legislative nazionali, esistono organismi internazionali che raccolgono sotto la loro egida l'attività della ricerca biomedica mondiale ed emettono direttive vincolanti per chi si occupa di questi argomenti. Riporto qualche frase significativa estratta dagli "International Guiding Principles for Biomedical Research Involving Animals", raccomandati dall'Advisory Committee on Medical Research del WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 1985:
"Se appropriati, devono essere utilizzati metodi quali
modelli matematici, la simulazione con computer ed i
sistemi biologici in vitro"
"Gli esperimenti su animali devono essere intrapresi
solo dopo una adeguata valutazione della loro
importanza per la salute dell'uomo o dell'animale e per
l'avanzamento della conoscenza biologica"
"Gli animali selezionati per l'esperimento devono
essere [...] del minimo numero richiesto per ottenere
risultati scientificamente validi"
"[...] i ricercatori ed il rimanente personale devono
sempre trattare gli animali come capaci di provare
sensazioni e devono avere cura di loro ed evitare o
minimizzare ogni disagio o dolore"
"I procedimenti sugli animali che possono causare
più che un momentaneo o minimo dolore o disagio
devono essere intrapresi dopo un'adeguata sedazione,
analgesia o anestesia sulla base della pratica
veterinaria accettata"
"Alla fine, o se è necessario, durante
l'esperimento, gli animali che in altro caso
soffrissero di dolori gravi o cronici, di disagio o di
menomazioni che non possano essere risolti dovrebbero
essere uccisi in modo indolore"
"Gli animali utilizzati a fini biomedici devono essere
mantenuti nelle migliori condizioni di vita possibili.
[...] se necessario, deve essere disponibile l'opera di
un veterinario"
"L'educazione del personale addetto deve essere
adeguatamente garantita con l'inclusione di un adeguato
ed umano interesse per gli animali sottoposti alle loro
cure"
Ovviamente anche la sperimentazione sull'uomo, che non è altro che il passo successivo alla sperimentazione sugli animali, è strettamente regolamentato da molto tempo. Ecco qualche brano dalla Dichiarazione di Helsinki (Raccomandazioni guida per i medici nella ricerca biomedica sull'uomo), approvata nel corso della 18ª Assemblea Medica Mondiale del 1964.
"La ricerca biomedica sull'uomo deve conformarsi ai
principi scientifici generalmente accettati e dovrebbe
essere basata su sperimentazioni di laboratorio e
sull'animale adeguatamente eseguite [...]"
"[...] dovrebbe essere condotta solo da persone
scientificamente qualificate e sotto la supervisione di
un medico clinicamente competente"
"[...] non può legittimamente essere eseguita se
l'importanza degli obiettivi non è proporzionale
ai rischi inerenti"
"In ogni ricerca su esseri umani, ciascun potenziale
soggetto deve essere adeguatamente informato sugli
scopi, i metodi, i benefici previsti e i potenziali
pericoli [... ed] è libero di astenersi [...] e
di ritirare il suo consenso in qualsiasi momento"
"I benefici potenziali, i rischi e i disagi di un nuovo
metodo dovrebbero essere sempre comparati nei riguardi
dei migliori metodi diagnostici e terapeutici
disponibili"
"Nella ricerca sull'uomo l'interesse della scienza e
della società non dovrebbero mai prendere il
sopravvento sulla salvaguardia del benessere del
paziente"
Da decenni chi pubblica sulle prestigiose riviste internazionali di medicina e biologia deve sottostare a tali direttive, pena il rifiuto del lavoro scientifico.
Mario Campli
Medico Chirurgo
Specialista in Chirurgia d'Urgenza e Pronto
Soccorso