Omeopatia.
Esposizione e valutazione critica
di G. Federspil, C. Scandellari
Per comprendere
appieno il significato e il ruolo che l'omeopatia ha
avuto nella storia del pensiero medico, è
indispensabile collocarne correttamente l'origine nel
contesto storico del tempo in cui nacque.
La dottrina omeopatica
Dopo che l'opera di G.B. Morgagni (1682-1771) e quella
di Albrecht von Haller (1708-1777) avevano
rispettivamente dato vita all'anatomia patologica ed
alla fisiologia moderna, la medicina clinica, nella
seconda metà del XVIII secolo e nella prima
metà del XIX, andò incontro ad un periodo
di crisi profonda. Nel tentativo di liberarsi dai lacci
del pensiero galenico e di promuovere una pratica
medica che tenesse conto delle norme del pensiero
scientifico, durante questo periodo in molti Paesi
europei vennero concepite diverse nuove dottrine
mediche.
Queste erano in genere basate su poche idee molto
semplici e schematiche, che riuscivano facilmente a
dare ragione della immensa varietà dei fenomeni
morbosi; tali idee erano peraltro estremamente rigide,
al punto da rendere del tutto immodificabili le
dottrine che su di esse si fondavano. I "sistemi"
medici - questo fu il nome con il quale le nuove
dottrine vennero chiamate - si diffusero rapidamente in
tutti i Paesi d'Europa ed ebbero un enorme successo
negli ultimi decenni del '700 e nella prima metà
dell'800: il brownismo in Inghilterra, il mesmerismo in
Francia, la dottrina del controstimolo di Rasori in
Italia e, appunto, l'omeopatia in Germania e in
Francia.
L'omeopatia, quindi, non è nient'altro che uno
dei tanti "sistemi" medici che, nella prima metà
del secolo scorso, si diffusero in tutta Europa.
Essa fu ideata da un medico sassone, Samuel Hahnemann
(1755-1843) che operava a Lipsia. Hahnemann, nel 1790,
sulla base di alcune osservazioni occasionali, ritenne
di aver scoperto una nuova legge terapeutica, prima di
allora sfuggita a tutti. Hahnemann partì dalla
constatazione secondo la quale i vari farmaci, quando
vengono assunti alle dosi abituali, provocano certi
specifici disturbi nei soggetti sani e credette di aver
scoperto che ogni singolo farmaco era in grado di
guarire proprio quei malati la cui sintomatologia era
simile o identica alla sintomatologia provocata dal
farmaco stesso.
In altre parole, secondo il medico sassone, i farmaci
guariscono proprio quelle malattie che sono
caratterizzate da disturbi "simili" a quelli che il
farmaco di per se stesso provoca ("similia similibus
curantur"). Alla propria dottrina, basata sul
principio dei simili, Hahnemann diede il nome di
"omeopatia" e riservò invece il nome di
"allopatia" alla pratica medica, in quel tempo
dominante, secondo la quale in una certa malattia
dovevano essere usati quei farmaci o quei provvedimenti
che avevano un effetto contrario ai sintomi della
malattia in atto. Così, per esemplificare, di
fronte ad una febbre, mentre un medico allopatico
prescriveva un antipiretico, un hahnemanniano
consigliava un farmaco che provocava il fenomeno
febbrile.
Per evitare probabilmente il peggioramento
sintomatologico che i farmaci omeopatici producevano,
Hahnemann ridusse progressivamente la posologia dei
medicamenti fino ad usare dosi estrema mente basse. In
tal modo al "principio dei simili" ne aggiunse presto
un secondo, che viene chiamato "delle diluizioni
infinitesimali". Ritenendo di aver scoperto e provato
che l'azione dei medicamenti, invece di ridursi,
aumentava progressivamente con il diminuire della dose,
egli stabilì che i farmaci dovevano essere
somministrati ai pazienti in dosi piccolissime (dette,
appunto, infinitesimali) e dettò anche le norme
per la preparazione dei medicamenti omeopatici. Secondo
tali norme il farmaco inizialmente viene triturato e 1
grammo della sostanza viene disciolto in 10 o in 100 ml
di acqua o di alcool etilico; successivamente si
preleva 1 ml di questa soluzione iniziale (soluzione
madre) e lo si diluisce in 10 o in 100 ml di acqua o di
alcool, ottenendo rispettivamente la prima diluizione
decimale o centesimale. Da questa soluzione si preleva
ancora 1ml e lo si diluisce in altri 10 o 100 ml del
solvente (seconda diluizione decimale o centesimale);
si continua così a diluire progressivamente il
farmaco fino alla 10ª, 15ª, 20ª,
50ª, 200ª diluizione.
Infine, ai due principi precedenti Hahnemann ne
aggiunse un terzo, che chiamò della
"dinamizzazione". Secondo questa regola, ad ogni
diluizione del medicamento la soluzione doveva essere
agitata manualmente per imprimerle una serie di
succussioni, destinate a "dinamizzare" o a
"potentizzare" il rimedio, cio ad accrescerne
enormemente le capacità terapeutiche.
Per quanto questi tre principi vengano comunemente ritenuti i fondamenti dell'omeopatia, in realtà la dottrina concepita da Hahnemann è costituita da numerosi altri concetti strettamente interconnessi fra loro, che ne rappresentano la fisiologia, la patologia e la clinica.
Trattando del funzionamento dell'organismo umano,
Hahnemann, nella sua opera principale, non fa parola
della circolazione del sangue e delle altre conoscenze
che la Fisiologia del suo tempo già possedeva,
ma sostiene che l'organismo umano agisce in quanto
animato da "una energia vitale immateriale" che informa
di sè tutte le parti dell'organismo.
Così, per il medico omeopatico, lo stato di
salute è quello stato in cui «la forza
vitale - vivificatrice e misteriosa - domina in modo
assoluto e dinamico il corpo materiale e tiene tutte le
sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi e di
attività» (par. 9). All'opposto, «la
malattia è uno stato in cui è perturbata
questa "forza vitale"- indipendente e presente ovunque
nell'organismo ed immateriale - dall'azione di qualche
agente patogeno» (par. 11).
Quanto alle malattie realmente esistenti, Hahnemann,
dopo aver rifiutato la nosografia che in quegli anni
andava faticosamente costituendosi, le ridusse
sostanzialmente a tre tipi: la psora, la sicosi e la
lue. La psora costituisce la forma morbosa più
diffusa e più grave che «si manifesta con
un'eruzione caratteristica, a volte consistente in
un'eruzione della pelle limitata ad alcuni punti, con
prurito voluttuoso, insopportabile e di odore
caratteristico». Secondo la dottrina omeopatica
«la psora è la causa fondamentale vera
determinante di quasi tutte le altre forme morbose
frequenti ed innumerevoli, che figurano in patologia
come entità proprie, chiuse, che vanno sotto il
nome di nevrastenia, mania, melanconia, epilessia,
convulsioni di ogni specie, scrofola, scoliosi e
cifosi, cancro, varici, gotta, emorroidi, itterizia,
cianosi, idropisia, amenorrea, emorragia gastrica,
nasale, polmonare, emicrania, sordità, calcolosi
renale ecc.».
Semplificata in tal modo la classificazione delle
malattie, era evidente che la diagnostica omeopatica
diveniva particolarmente semplice, poichè si
riduceva ad individuare quale, tra le tre possibili,
fosse la malattia in atto. Essa poi veniva
ulteriormente semplificata dal fatto che una delle tre
malattie, la psora, era così diffusa ed
abbracciava tanti sintomi che la sua diagnosi
costituiva quasi una tappa obbligata dell'iter clinico
omeopatico. Se è vero che la diagnostica
omeopatica classica è particolarmente semplice,
bisogna anche sottolineare che l'attenzione del medico
omeopatico non è tanto rivolta ad identificare
la malattia da cui è affetto il paziente, quanto
piuttosto ad individuare il medicamento che nel sano
provoca i disturbi più "simili" a quelli
presentati dal malato in studio.
Quel medicamento (che viene definito come il farmaco
"simillimum") sarà in grado di far
scomparire tutti i sintomi e di guarire il malato. Su
questo punto sarà opportuno soffermarsi
brevemente per comprendere appieno la sostanza delle
tesi omeopatiche; nell'omeopatia la concezione della
malattia è quella sintomatologica, per la quale
un certo processo morboso si identifica sostanzialmente
con i sintomi che esso dimostra; per tale motivo la
scomparsa dei sintomi si identifica, per la gran parte
dei medici omeopatici, con la scomparsa della malattia
e quindi con la sua guarigione.
L'attenzione del medico omeopatico è quindi
rivolta soprattutto alla terapia del malato piuttosto
che al riconoscimento e/o alla terapia della malattia
in se stessa. Mentre nella medicina scientifica
l'attenzione è rivolta soprattutto alla diagnosi
ed al riconoscimento dei meccanismi fisiopatologici che
conducono alla situazione morbosa, e la terapia
rappresenta soltanto la conseguenza logica
dell'enunciato diagnostico, in omeopatia, dove la
patogenesi delle malattie è sostanzialmente del
tutto ignorata e la nosografia ridotta a dimensioni
trascurabili, la terapia rappresenta il momento
fondamentale di tutto il procedimento clinico.
L'atteggiamento di fondo dell'omeopatia è
eminentemente individualistico ed è teso a
descrivere tutti i più piccoli disturbi
presentati dal paziente per riconoscere il farmaco
più "simile" per quei disturbi. Ciò che
veramente interessa al medico omeopatico non è
la "diagnosi di malattia", ma la "diagnosi di
rimedio".
Ciò muta profondamente anche la natura della
semeiologia omeopatica rispetto a quella usuale,
Infatti, mentre nella semeiotica scientifica il segno o
il sintomo costituisce un'elemento che guida verso la
diagnosi, nella semeiotica omeopatica il segno serve a
guidare verso la terapia, e non verso una terapia
generale, ma verso la terapia che deve servire per quel
singolo malato.
A prima vista, la situazione descritta non parrebbe
particolarmente anomala né molto diversa da
quella di un comune medico, il quale cerchi di
individualizzare la diagnosi del proprio paziente o
che, nell'impossibilità di porre una diagnosi
nosografica precisa e di orientarsi sulla patogenesi
del male del suo paziente, ne prenda in considerazione
i sintomi più preoccupanti o appariscenti e
cerchi di combatterli. In realtà, invece, le
cose stanno in modo del tutto differente nelle due
medicine. La "individualizzazione" del medico
omeopatico è cosa radicalmente diversa dalla
individualizzazione di cui parlavano Murri e tutti i
grandi clinici del nostro secolo; mentre, infatti,
nella medicina scientifica l'individualizzazione del
caso clinico, cioè la comprensione della
situazione in cui si trova il singolo malato, non
prescinde mai dalla diagnosi ed è fondata su
un'accurata analisi fisiopatologica, in omeopatia
individualizzazione significa soltanto identificazione
meramente empirica dei farmaci che dovranno essere
efficaci in quel caso.
Oltre a ciò in omeopatia l'analisi dei sintomi,
non controllata da uno spirito critico, si è
dilatata in misura incredibile producendo eccessi
semeiologici che stanno fuori da ogni ragionevolezza.
Questo stato di cose ha portato ad una situazione
curiosa: mentre la diagnostica omeopatica in senso
stretto si presenta molto povera, la semeiologia si
è dilatata enormemente.
Così i segni e i sintomi che interessano il
medico omeopatico e di cui egli deve tenere conto non
solo hanno poco o nulla in comune con la semeiologia
scientifica, ma concernono fenomeni del tutto secondari
o irrilevanti, quali le caratteristiche dello sguardo,
il modo di stare seduto, la passione per i dolciumi, la
paura dei cani, il sudore visibile sotto le ascelle, la
gelosia o la passione per le arti figurative.
La terapia omeopatica, poi, si presenta come una terapia puramente empirica, nella quale l'indicazione all'uso di un certo medicamento non deriva in alcun modo dalla conoscenza della genesi dei fenomeni morbosi, ma proviene unicamente dalla constatazione che i disturbi di un malato sono simili a quelli prodotti da un certo medicamento. Questi convincimenti hanno portato ad uno studio esasperato e ad una dilatazione smisurata degli effetti prodotti dai farmaci. A puro scopo esemplificativo sarà sufficiente dire che Arsenicum album (cioè l'anidride arseniosa) produrrebbe 368 sintomi, Pulsatilla Nigricans ne causerebbe 1163 e Sulphur ben 4080!
Dopo la morte di Hahnemann l'omeopatia, che verso il 1840 aveva raggiunto un notevole successo a Parigi, conobbe nei vari Paesi europei e negli Stati Uniti fasi alterne di fortuna. Messa sostanzialmente al bando dalla medicina scientifica, essa trovò comunque sempre un certo numero di cultori fra i medici e conobbe in certi periodi una popolarità notevole, Sul piano dottrinale la diffusione dell'omeopatia si accompagnò alla nascita di accesi contrasti, i quali finirono poi per dare origine a differenti indirizzi teorico-pratici e ad altrettante Scuole.
In questa sede non è certo possibile ricostruire
i vari percorsi teorici dei diversi omeopati.
Ciò che tuttavia si può affermare
è che, nonostante le differenze di impostazione,
le varie Scuole omeopatiche si riconoscono tutte ancora
oggi nella fedeltà ai concetti e ai principi
enunciati da Samuel Hahnemann: la legge dei simili, il
principio della diluizione infinitesimale, la
dinamizzazione.
Le principali correnti omeopatiche sono le seguenti:
- l'indirizzo empirista germanico, preoccupato soltanto della scelta di un unico rimedio omeopatico simillimum;
- l'indirizzo anglosassone, rappresentato soprattutto da J,T. Kent e caratterizzato da una forte impostazione filosofica di tipo spiritualistico;
- la scuola di tipo spiritualistico;
- la scuola omeopatica costituzionalista francese.
Secondo quest'ultimo indirizzo, promosso da L. Vannier, gli uomini sarebbero classificabili in vari tipi costituzionali a seconda delle loro proporzioni corporee e delle loro caratteristiche e questa tipologia costituzionalistica aiuterebbe il medico nella ricerca del farmaco "simillimum". Le tre costituzioni fondamentali sono:
- la costituzione carbonica, che rappresenta la forma primitiva, naturale, dalla quale si sono differenziate le altre due. Ad essa appartengono gli individui rigidi e diritti, pazienti e ordinati;
- la costituzione fosforica (che è espressione di eredotubercolosi), alla quale appartengono individui armoniosi e comunicativi, esaltati e delicati;
- la costituzione fluorica (che, secondo Vannier, è espressione di eredolue), alla quale appartengono soggetti irregolari e instabili, disordinati e senza equilibrio.
In tempi più recenti sono stati proposti altri
indirizzi omeopatici. Così, fra gli esponenti
della scuola argentina, T.P. Paschero ha sostenuto che
la malattia è una perturbazione dello spirito,
mentre A.E. Masi ha identificato la psora con la
vulnerabilità e l'irritabilità delle
cellule. All'opposto O.A.Julian, dopo aver sostenuto
che la metafisica vitalista di Hahnemann appartiene al
passato, ha proposto una dottrina materialista
fortemente influenzata dal materialismo dialettico,
denominata "concretologia contraddittoria monista".
Tale dottrina, che si allontana in più punti
dalle classiche opinioni di Hahnemann, dovrebbe
consentire secondo il suo ideatore di «collocare
la medicina omeopatica nel grande solco delle scienze
mediche attuali».
Nel 1952, infine, Hans Heinrich Reckeweg, cercando di
avvicinare l'omeopatia ai concetti della biochimica
moderna, ha proposto una nuova dottrina, denominata
"omotossicologia", basata sull'assunto che tutte le
aggressioni provenienti dall'ambiente sono dovute
all'azione di non meglio precisate "omotossine".
Indicazioni terapeutiche
Questo argomento presenta fin dal suo inizio una
difficoltà di ordine teorico, poichè in
genere le indicazioni e l'efficacia dei rimedi
omeopatici vengono considerate in relazione alla comune
nosografia scientifica.
Per quanto ciò possa apparire incongruo ed
irrazionale agli occhi di un medico omeopatico
tenacemente ortodosso, convinto quindi che le sole
malattie croniche siano quelle individuate e descritte
da Hahnemann, in pratica, imitando l'atteggiamento di
molti omeopati, non terremo conto di tale problema e
considereremo le indicazioni dell'omeopatia nei termini
della patologia non omeopatica.
In tesi generale, i medici omeopatici hanno spesso
sostenuto che il loro sistema terapeutico era capace di
avere ragione di ogni forma morbosa. Addirittura alcuni
di loro hanno sostenuto e sostengono tuttora che
soltanto l'omeopatia è in grado di guarire
veramente e definitivamente le malattie e che la
medicina non omeopatica è invece soltanto capace
di produrre miglioramenti apparenti e transitori.
Già Hahnemann aveva sostenuto che mentre
«il metodo allopatico costituisce un gioco
irresponsabile e micidiale con la vita del
malato» (par. 25), le medicine omeopatiche
«guariscono senza eccezione le malattie che hanno
i sintomi similari più vicini» (par. 27).
Infatti, «il metodo omeopatico raggiunge la
guarigione delle malattie nel modo più sicuro,
più rapido e più duraturo, perchè
quest'arte di curare è basata su una legge di
natura eterna ed infallibile» (par. 53, par. 45).
Da quando l'omeopatia è nata, gli omeopatici si
sono vantati di guarire un grandissimo numero di
malattie: dal colera al cancro (Benjamin, 1978),
dall'asma all'emicrania, a loro dire, l'esperienza
avrebbe ovunque confermato la potenza dei medicamenti
iperdiluiti e dinamizzati.
Efficacia reale
Rispetto al gran numero di successi terapeutici vantati
dagli omeopati si deve subito dire che il numero degli
studi scientifici rigorosi condotti sui medicamenti
hahnemanniani è ancor oggi estremamente modesto.
In realtà, la gran parte dei risultati positivi
che gli omeopati hanno dichiarato di ottenere non
è stata pubblicata sulle comuni riviste
scientifiche, ma su periodici dichiaratamente ed
esclusivamente omeopatici, il cui livello medio si
colloca ad uno standard di rigore metodologico di gran
lunga inferiore a quello richiesto oggi nella
comunità medico-scientifica internazionale.
Riferendoci alle poche ricerche pubblicate sulla
stampa medico-scientifica più accreditata,
Gibson et al. (1980) hanno osservato che la terapia
omeopatica migliorava la sintomatologia dell'artrite
reumatoide senza peraltro modificarne i test di
laboratorio, mentre al contrario Shipley et al. (1983),
nella stessa patologia, non hanno osservato alcun
effetto della terapia omeopatica con Rhustox 6x. In un
altro studio, Reilly et al. (1986) hanno riportato un
lieve ma significativo miglioramento della
sintomatologia della febbre da fieno in pazienti
trattati con una diluizione 30^ centesimale di
pollini.
In realtà, il problema dell'efficacia
dell'omeopatia è strettamente legato a quello
dell'attendibilità delle sperimentazioni
cliniche in cui vengono usati i medicamenti omeopatici.
A questo proposito Kleijnen et al. (1991) hanno
recentemente compiuto un attento lavoro di revisione
critica della letteratura, prendendo in esame 93 lavori
e 107 trial clinici. Essi hanno concluso che
"l'evidenza delle sperimentazioni, per quanto sia
positiva, non è sufficiente a trarre alcuna
conclusione precisa a causa della bassa qualità
metodologica della maggior parte delle ricerche".
Obiezioni scientifiche
Indipendentemente dalla realtà dei suoi vantati
successi terapeutici, l'omeopatia è una dottrina
medica che merita di essere presa in attenta
considerazione e di essere valutata sul piano
scientifico, nelle varie tesi in cui essa si
articola.
Quest'opera di valutazione scientifica è stata
fatta lungo il corso degli ultimi due secoli da vari
studiosi ed ha portato ad un generale rifiuto della
dottrina omeopatica da parte del mondo
medico-scientifico. Esporremo ora brevemente le
principali obiezioni scientifiche rivolte contro
l'omeopatia.
Diluizioni infinitesimali dei medicamenti
L'obiezione fondamentale mossa contro la dottrina di
Hahnemann fin dal tempo della sua formulazione è
stata quella concernente l'estrema diluizione dei
farmaci.
Con la tecnica usata dagli omeopati, si disse, i
farmaci venivano rapidamente diluiti in misura tale che
la preparazione somministrata al paziente non poteva
avere alcun reale effetto curativo.
A questa obiezione un farmacologo italiano, Luigi
Sabbatani, e più tardi un allievo di questi,
Egidio Meneghetti, diedero veste scientifica rigorosa
sulla base del numero di Avogadro. Poichè, come
è ben noto, una volta che sia noto il peso
molecolare di una sostanza, il numero di Avogadro ci
permette di conoscere con esattezza il numero delle
molecole presenti in una soluzione, è possibile
calcolare il numero delle molecole di un farmaco
presenti nelle preparazioni diluite dei rimedi
omeopatici.
Così si è potuto calcolare che alla
11ª diluizione centesimale sono presenti soltanto
poche molecole del farmaco, mentre al di là
della 13ª diluizione centesimale le preparazioni
omeopatiche non contengono che solvente puro. In altre
parole, le conoscenze scientifiche che provengono dalla
chimica generale permettono di affermare con sicurezza
che gran parte dei cosiddetti medicamenti omeopatici
è costituita da acqua distillata.
Di fronte a questa critica radicale che faceva
crollare l'intera dottrina farmacologica omeopatica, i
seguaci di Hahnemann hanno cercato di puntellare la
loro teoria variandone in parte il contenuto: ad agire
non sarebbero i farmaci in se stessi, quanto il
solvente, cioè l'acqua. Sarebbero quindi la
presenza del farmaco e le scosse impresse alla
preparazione medicamentosa a modificare la struttura
molecolare dell'acqua e a conferirle quindi le
eccezionali quanto misteriose virtù medicatrici
vantate dai medici omeopatici. Queste ipotesi, che non
hanno trovato finora alcun sostanziale sostegno
sperimentale, appaiono in realtà del tutto
fantasiose e rappresentano sul piano metodologico vere
e proprie ipotesi ad hoc.
Estraneità alle più comuni e
consolidate conoscenze scientifiche biomediche
Come risulta evidente anche dalla sola esposizione
rapida delle tesi omeopatiche, questa dottrina si
presenta come un insieme di concetti, di enti e di
relazioni del tutto distinto dalla medicina scientifica
comunemente insegnata nelle Università del mondo
occidentale. In realtà, mentre nei primi decenni
dopo la sua origine l'omeopatia aveva ancora un certo
numero di punti di contatto con la medicina ufficiale
insegnata nei Paesi europei, con il trascorrere del
tempo la diversità fra le due medicine è
divenuta abissale. Mentre la medicina clinica ufficiale
è andata via via maturando ed assumendo la
struttura concettuale ed operativa di una disciplina
scientifica autentica, l'omeopatia ha conservato
pressochè immodificati i caratteri e il
contenuto che le aveva dato il suo fondatore.
Per quanto qui non sia possibile neppure enumerare le
svariate differenze che esistono oggi fra le due
medicine, sarà sufficiente ricordare, soltanto
come esempio, che l'omeopatia in se stessa non prende
neppure in considerazione la circolazione del sangue,
la teoria cellulare, l'anatomia e l'istologia
patologica, la batteriologia e la virologia,
l'endocrinologia, la genetica e la biochimica.
Quando poi nei suoi manuali vengono ricordati alcuni
concetti provenienti da qualche disciplina scientifica,
come l'immunologia o la citologia, ciò viene
tatto solo per brevi cenni approssimativi e
superficiali. Infine, nelle monografie degli omeopati
che hanno tentato di avvicinarsi alla medicina moderna,
l'accostamento dei concetti scientifici (anticorpo,
ormone, proteine ematiche, trasmissione ereditaria dei
caratteri ecc.) a quelli omeopatici assume un carattere
artificioso e spesso addirittura caricaturale.
In breve, ancora oggi non vi sono reali punti di
contatto fra la medicina moderna e l'omeopatia, che si
presenta quindi come una dottrina del tutto avulsa
dalla comuni conoscenze scientifiche.
Questo isolamento teorico dell'omeopatia appare
particolarmente grave sul piano della conoscenza
scientifica. Infatti, uno dei caratteri principali del
sapere scientifico è costituito dalla sua
sistematicità, vale a dire dalla tendenza di
tutte le discipline scientifiche a fondersi in
un'unica, grandissima struttura concettuale.
L'omeopatia non partecipa a questa caratteristica del
sapere scientifico e continua ad essere una dottrina
chiusa in se stessa, ancorata alle idee del suo
fondatore ed incapace di ogni reale evoluzione
concettuale.
Mancanza di sperimentazioni cliniche
controllate
Al di là delle difficoltà teoriche fin
qui considerate, un ostacolo fortissimo, sollevato da
molti studiosi contrari all'omeopatia, è
rappresentato dalla mancanza di studi clinici
rigorosamente controllati. In effetti, tutti i medici
forniti di un'adeguata formazione scientifica sono
sempre stati colpiti dal fatto che di fronte alle
enormi pretese terapeutiche dell'omeopatia vi fosse
un'estrema povertà di studi clinici condotti in
modo rigoroso. è ben noto a tutti che oggi sono
state elaborate e sono a disposizione dei medici
sofisticate tecniche statistiche capaci di misurare i
reali effetti dei farmaci; tali metodiche sono divenute
ormai indispensabili per valutare i nuovi medicamenti
che vengono introdotti nella pratica clinica.
Ebbene, ad eccezione dei pochi lavori citati, tali
tecniche non vengono comunemente usate dagli omeopati.
La grande maggioranza delle affermazioni che si trovano
nei manuali omeopatici sugli effetti terapeutici dei
farmaci non trova alcun sostegno in ricerche condotte
in modo serio e pubblicate su riviste scientificamente
accreditate e attendibili.
Valutazione metodologica
Oltre alle obiezioni scientifiche, che quindi
riguardano il suo contenuto, all'omeopatia sono state
mosse numerose critiche di natura metodologica. Queste
ultime hanno un'importanza di gran lunga maggiore delle
prime, poichè mettono in discussione alla radice
l'intero corpo dottrinale originatosi dalle idee di
Hahnemann.
Come è ben noto, la conoscenza scientifica
è caratterizzata dal fatto che progredisce
grazie alla sistematica applicazione di quel complesso
insieme di procedure e di regole che prende il nome di
"metodo sperimentale". Lo status scientifico di
una disciplina viene quindi misurato dal modo in cui
essa aderisce al metodo sperimentale e ne applica
correttamente le regole.
Se ora si prendono in esame la teoria e la prassi che
costituiscono l'omeopatia, è facile constatare
che questa disciplina è caratterizzata da un
gran numero di vizi metodologici. A questi vizi faremo
un breve cenno, senza alcuna pretesa di esaurire un
argomento così vasto e complesso.
Secondo una distinzione ormai classica, la scienza
è costituita da due elementi ugualmente
importanti, i fatti, cioè la registrazione
fedele dei fenomeni del mondo, e le teorie.
Inadeguatezza delle registrazioni fattuali
La prima colpa metodologica dell'omeopatia riguarda
appunto l'inadeguatezza delle registrazioni fattuali su
cui essa si basa.
È noto dal tempo di Galileo che poichè
«il gran libro della natura è scritto in
lingua matematica», il ricercatore deve fare ogni
sforzo per osservare e registrare i fenomeni studiati
in forma quantitativa: il linguaggio dei numeri,
infatti, evitando le ambiguità e le imprecisioni
del linguaggio comune, permette di obiettivare i
rilievi, di evitare i dissensi fra osservatori e di
applicare ai risultati delle osservazioni quello
strumento potentissimo che è il calcolo.
Ebbene, nei manuali omeopatici ben raramente si
può trovare qualche riferimento a dati
quantitativi: nella gran parte dei casi i fenomeni
considerati rilevanti sono eminentemente soggettivi e
anche quando gli Autori fanno riferimento a fenomeni
oggettivabili e misurabili (come la temperatura
corporea o la pressione arteriosa), questi non vengono
riportati attraverso valori numerici precisi.
All'insufficienza dei dati numerici si associa poi la
quasi assoluta mancanza di documentazioni morfologiche
attendibili. Per quanto l'omeopatia in se stessa ignori
l'anatomia e l'istologia patologica, accade spesso che
nelle pubblicazioni omeopatiche vengano riportati gli
effetti dei medicamenti iperdiluiti in malattie
contemplate dalla nosografia scientifica, come la
cirrosi epatica o l'ulcera gastrica o la
broncopolmonite. Ebbene, anche in questi casi è
facile constatare che né la diagnosi né
il vantato effetto terapeutico vengono documentati
attraverso una qualche documentazione morfologica, come
un reperto endoscopico, un quadro radiografico o la
fotografia di un reperto istopatologico. In queste
condizioni, quindi, le diagnosi riportate non possono
essere messe in discussione e sul risultato della
sperimentazione non può venire condotta quella
valutazione critica che è fondamentale in ogni
lavoro scientifico.
Da ultimo, è necessario ricordare che in gran
parte dei lavori riportati nelle riviste omeopatiche
l'analisi statistica dei risultati o è
assolutamente insufficiente o è impostata in
modo scorretto o è addirittura mancante.
Introduzione nel discorso scientifico di termini e
concetti metafisici
Chiunque scorra anche superficialmente
l'Organon o altre opere della medicina
omeopatica è colpito dalla presenza di termini e
di affermazioni di carattere nettamente metaempirico
che non si trovano mai nei manuali della medicina
scientifica. La presenza di queste espressioni ha valso
in passato all'omeopatia l'accusa di essere una
dottrina idealistica e misticheggiante.
Uno dei maggiori pericoli per la scienza è
costituito dall'introduzione nei suoi discorsi di
termini e di concetti che, per la loro natura, sono
estranei all'ambito della conoscenza scientifica e si
collocano in quello della filosofia e più
propriamente della metafisica. Per evitare pericolosi
inquinamenti ed il sorgere di equivoci epistemologici,
i fisici, nei primi decenni del nostro secolo,
concepirono ed introdussero un principio metodologico
che venne chiamato della "definizione operativa".
Secondo tale principio «enti e relazioni che non
siano osservabili per principio né definibili
mediante esperienze almeno ideali non hanno senso
fisico e non possono essere oggetto della fisica»
(F. Selvaggi,1985). Come ha affermato un acuto
metodologo italiano, E. Poli, «per quanto
riguarda la biologia, il principio della definizione
operazionistica dei termini è un importante
elemento di chiarificazione e serve ad espungere dal
discorso molte implicazioni non-scientifiche e i falsi
problemi che da esse possono prendere lo spunto»
(E. Poli, 1972).
Infatti, se si considerano termini e concetti come
quelli di "principio spirituale dinamico", di "forza
vitale", di "forza spirituale insita nell'intima
essenza dei medicamenti", che ricorrono con grande
frequenza negli scritti di Hahnemann e che si ritrovano
spesso ancora oggi negli scritti di diversi omeopati,
è facile vedere come questi concetti non siano
in alcun modo suscettibili di definizione operativa e
come quindi non abbiano alcun diritto di cittadinanza
nell'ambito di un discorso o di una teoria
scientifica.
In conclusione, la violazione del principio della
definizione operativa mostra come l'omeopatia non sia
in alcun modo una vera teoria scientifica, ma sia
costituita da un inestricabile intreccio di concetti
metafisici e di osservazioni ed idee empiriche.
Uso di ipotesi ad hoc
«Data un'ipotesi -ha scritto Dario Antiseri- se
questa ipotesi è in pericolo, si dà di
frequente il caso nella storia della scienza che si
tenti di salvare questa ipotesi pericolante con
opportune iniezioni di ipotesi di salvataggio. Questo
stratagemma di salvataggio di ipotesi in pericolo viene
chiamato "introduzione di ipotesi ad hoc" ed
è visto di cattivo occhio da parte degli
scienziati più scaltriti». In effetti,
l'ipotesi ad hoc non aumenta il contenuto
informativo della teoria e «viene introdotta
unicamente ed esclusivamente allo scopo di salvare la
teoria in pericolo. Ma il salvataggio sistematico delle
ipotesi in pericolo sbarra la strada alla
verità. Infatti, per ottenere teorie
scientifiche sempre più vere, occorre eliminare
gli errori che nelle teorie si annidano; ma se noi
facciamo di tutto per proteggere o nascondere questi
errori allora la verità non si farà mai
strada» (D. Antiseri, l978).
Nell'omeopatia è facile constatare
l'introduzione sistematica di ipotesi ad hoc
ogni volta che l'andamento clinico dei pazienti non
è in accordo con ciò che le premesse
teoriche facevano prevedere. Se, ad esempio, un medico
impiega una certa diluizione di un farmaco, per curare
una determinata malattia e, non avendo ottenuto il
risultato sperato, sostiene che quella diluizione non
era appropriata per quella forma morbosa, quel medico
ha introdotto una ipotesi ad hoc. E ancora, se nelle
stesse condizioni, il medico asserisce che la
diluizione era appropriata, ma che il malato non
è migliorato perchè la sua costituzione
non gli consentiva di reagire adeguatamente a quel
medicamento, quel medico ho ancora una volta fatto
ricorso ad una ipotesi ad hoc.
Incapacità di effettuare previsioni
precise
Come è ben noto, una delle caratteristiche
fondamentali delle teorie scientifiche è la loro
capacità di compiere previsioni. A questo
proposito Antiseri (1975) ha affermato che «il
potere predittivo di una teoria scientifica costituisce
il fondamento della sua validità, il fascino
della scienza e la base sistematica delle sue
applicazioni tecnologiche». La capacità
della scienza di predire gli avvenimenti futuri si
differenzia da quella del profeta o dello sciamano
perchè, contrariamente a queste, è
fondata su leggi. In altre parole, è la
conoscenza di alcune leggi di natura che consente allo
scienziato di formulare previsioni valide. Ed è
cosa comunemente accettata che quanto più una
scienza è sviluppata e matura, tanto maggiore
è la sua capacità di prevedere i fenomeni
e tanto più attendibili sono le sue
previsioni.
Nella medicina scientifica la possibilità di
prevedere i fenomeni è andata progressivamente
aumentando con lo sviluppo delle conoscenze biomediche:
così noi oggi sappiamo prevedere, con un margine
di errore molto piccolo e noto, anche fenomeni che un
tempo apparivano del tutto capricciosi. La percentuale
dei decessi annuali nei pazienti cancerosi trattati con
un certo antiblastico, le differenze nell'andamento
della statura in un nano ipopituitarico e in un nano
ipotiroideo trattati con HGH, la comparsa di una
emorragia da rottura delle vene esofagee in un
cirrotico, lo sviluppo di un'arteriosclerosi in un
soggetto iperlipemico, la comparsa di convulsioni in un
ipoglicemico sono tutti fenomeni che oggi possono
venire previsti con buona attendibilità.
Se invece ora osserviamo l'omeopatia, possiamo
facilmente constatare che sul piano fisiopatologico la
capacità di previsione di questa disciplina
è pressochè inesistente. Su quello
terapeutico, poi, le cose non vanno in modo migliore:
al di là delle generiche affermazioni di
efficacia del loro trattamento sulla salute del
paziente, i medici omeopatici ben raramente si spingono
a prevedere. E così, ad esempio, di fronte ad un
medicamento antiipertensivo ben raramente essi riescono
a prevedere se la pressione più interessata
sarà la sistolica o la diastolica e quanto
grande sarà la diminuzione pressoria.
Questa incapacità di prevedere dell'omeopatia
è estremamente rilevante sul piano metodologico:
infatti, poichè la conferma delle previsioni di
una teoria scientifica è il modo più
impressionante con cui la teoria viene convalidata,
l'incapacità di formulare previsioni esatte ed
attendibili mostra tutta la debolezza metodologica
dell'omeopatia.
Violazione del principio di
falsificabilità
Il problema metodologico fondamentale è sempre
stato quello di individuare un criterio che permettesse
di separare le scienze autentiche dalle pseudoscienze.
Tale problema è stato risolto dall'epistemologo
austro-inglese Karl R. Popper con l'introduzione del
principio di falsificabilità. Secondo tale
principio, oggi in pratica universalmente accettato,
non è il principio della verificazione
(cioè la possibilità di stabilire,
attraverso la verifica sperimentale, con certezza la
verità di una teoria) a distinguere la scienza
dalla non-scienza, ma è la possibilità di
dimostrare, attraverso l'osservazione e l'esperimento,
la falsità di una teoria. Per chiarire questo
concetto conviene riportare le parole dello stesso
Popper. «Io ammetterò certamente come
empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa
essere controllato dall'esperienza. Queste
considerazioni suggeriscono che come criterio di
demarcazione non si deve prendere la
verificabilità, ma la falsificabilità di
un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico
non esigerò che sia capace di essere scelto, in
senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò
che la sua forma logica sia tale che possa essere messo
in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso
negativo: un sistema empirico deve poter essere
confutato dall'esperienza» (K.R.
Popper,1970).
Alla luce di queste considerazioni si comprende che la
dimostrazione di un errore in una teoria scientifica,
il crollo della teoria stessa e la sua sostituzione con
un'altra teoria costituiscono pregi perchè
consentono di progredire verso teorie sempre più
ricche di contenuto e sempre più verosimili. Se
ora si considera l'omeopatia alla luce della
metodologia contemporanea della scienza, si comprende
bene perchè essa non possa essere considerata
una dottrina scientifica. Dal tempo in cui fu
concepita, la dottrina omeopatica non ha conosciuto,
per i suoi fedeli, alcuna confutazione ed i principi
formulati da Hahnemann mantengono ancora oggi tutta
intera la loro validità . Mentre nella medicina
scientifica i fatti nuovi che si accumulano modificano
senza posa le teorie sostituendone l'una o l'altra
parte con nuove idee, o addirittura le eliminano
integralmente, nella medicina omeopatica la struttura
teorica di fondo viene preservata intatta attraverso
una serie di sotterfugi metodologici. Cosi, la dottrina
dei simili si perpetua nel tempo, rigida e immobile
come un organismo privo di vita.
G.Federspil, C.Scandellari
Professori di Semeiotica Medica
Patologia Medica III
Università degli studi di Padova
Pubblicato sul n.15 del 30/1/1993 di FEDERAZIONE
MEDICA,
organo di aggiornamento scientifico e professionale
della
Federazione Nazionale degli Ordini dei
Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri.